Jobs act, l’apartheid resta

Jobs act, l’apartheid resta

Ammortizzatori. Ridurli per estenderli ai precari?

Mancano fondi e la disoccupazione aumenterebbe

 

Pren­dendo per buone le parole del mini­stro Poletti — «il cuore del Jobs act non è la riforma dell’articolo 18, bensì quella degli ammor­tiz­za­tori sociali» — si arriva alla mede­sima con­clu­sione: anche in que­sto campo le tutele invece che allar­garsi, si restringeranno.

 

E anche in que­sto caso per i pre­cari ci sono solo tante belle parole — mater­nità, Aspi, con­tri­buti — che si scon­trano con la cruda realtà dei numeri e delle parole: il «miliardo e mezzo in più» strom­baz­zato non basta per loro e verrà preso in buona parte sot­traen­dolo ai fondi già stan­ziati, men­tre una delle poche cer­tezze del testo della delega riguarda il legame tra durata degli ammor­tiz­za­tori e «anzia­nità con­tri­bu­tiva»: per i pre­cari l’Aspi sarà breve, alla fac­cia della fine dell’apartheid pro­messa da Renzi.

 

Par­tiamo pro­prio da qui. Degli 1,5 miliardi pro­messi per finan­ziare i nuovi ammor­tiz­za­tori sociali faranno infatti cer­ta­mente parte i 500 milioni già pre­vi­sti per coprire la cassa inte­gra­zione in deroga per 2015. Dun­que in realtà dovremmo par­lare solo di un miliardo in più. Una cifra che non per­met­te­rebbe in alcun modo di allar­gare gli ammor­tiz­za­tori ai 546mila lavo­ra­tori coco­pro cen­siti nel 2012 o alle false par­tite Iva mono­com­mit­tenti, figu­riamo ai 7 milioni di pre­cari totali sti­mati in alcuni studi.

 

Ma è la stessa ratio della riforma a fare acqua da tutte le parti. Ridurre la cassa inte­gra­zione e pun­tare sul repla­ce­ment del lavo­ra­tore, rot­ta­mando il modello ita­liano che punta sul man­te­ni­mento del posto, rischia di pro­durre più effetti nega­tivi che positivi.

 

Una simu­la­zione della Uil sui dati 2013 è lam­pante: togliendo gli ammor­tiz­za­tori sociali che il Jobs act si pre­figge di can­cel­lare (mobi­lità, cig straor­di­na­ria e in deroga) ci sareb­bero 389mila disoc­cu­pati in più, facendo aumen­tare il tasso dall’attuale 12,2 al 13,7%.

 

Di sicuro, scritto nero su bianco nel Jobs act c’è l’eliminazione della cassa inte­gra­zione straor­di­na­ria per ces­sa­zione di atti­vità: una forma spesso abu­sata dalle aziende decotte. Ma niente, sem­bra, verrà invece fatto con­tro l’abuso vero, per­pe­trato per esem­pio dalla Fiat: il rim­pallo fra cassa inte­gra­zione ordi­na­ria e straor­di­na­ria per ristrut­tu­ra­zione che ha per­messo a Mar­chionne di tenere i lavo­ra­tori in cassa inte­gra­zione per anni e anni senza inve­stire i soldi promessi.

 

È poi la stessa ratio della riforma For­nero, che in que­sto campo ha già pro­dotto sfra­celli. L’Aspi (l’Assicura-zione sociale per l’impiego) sta già sosti­tuendo pro­gres­si­va­mente la mobi­lità — che spa­rirà a fine 2016 — ma i conti non tor­nano. Per finan­ziarla Elsa For­nero aveva aumen­tato l’aliquota sui con­tratti a tempo deter­mi­nato dell’1,4 per cento a carico delle imprese: nel 2013 le entrate da que­sta nuova «addi­zio­nale» sono state di soli 250 milioni, men­tre la spesa è stata di 3,56 miliardi, senza con­tare i con­tri­buti figurativi.

 

Tutti que­sti dati sono con­te­nuti nel Terzo rap­porto sugli ammor­tiz­za­tori sociali della Uil, uno stu­dio molto appro­fon­dito sul tema e che arriva a con­te­stare diret­ta­mente le linee guida del Jobs act in mate­ria. «Con­si­de­riamo sba­gliata e vel­lei­ta­ria l’idea di cari­care solo sull’Aspi il peso di garan­tire una forma di red­dito alle per­sone. L’utilizzo della Cassa inte­gra­zione, che cer­ta­mente si può raf­for­zare e miglio­rare, è con­di­zione affin­ché le ristrut­tu­ra­zioni, spesso neces­sa­rie, non si com­ple­tino con la fuo­riu­scita delle per­sone che la stessa impresa ha fatto cre­scere», spiega il segre­ta­rio con­fe­de­ra­le­ Gu­glielmo Loy.

 

La cri­tica prin­ci­pale è infatti la stessa fatta alla riforma For­nero: non si può met­tere mano agli ammor­tiz­za­tori sociali — spe­cie ridu­cen­doli — in periodi di crisi. Una crisi che non accenna a dimi­nuire. Gli ultimi dati sulla cassa inte­gra­zione 2014 lo con­fer­mano: dall’inizio dell’anno siamo a «poco meno di 715 milioni di ore», denun­cia ieri la Cgil, un dato in linea col 2013.

 

Nel frat­tempo il governo Renzi, col recente decreto inter­mi­ni­ste­riale «ha tagliato fuori dalla cig in deroga i dipen­denti degli studi pro­fes­sio­nali, delle asso­cia­zioni, delle fon­da­zioni, dei ser­vizi: circa 1 milione di lavo­ra­tori», denun­cia la Fil­cams Cgil. Evi­den­te­mente per il governo que­sti lavo­ra­tori non sono in regime di apartheid.

 

Massimo Franchi – il manifesto – 11 ottobre 2014