Un deficit di rappresentanza nell’epoca del «lavoro atipico»

Un deficit di rappresentanza nell’epoca del «lavoro atipico»

Saggi. «Il sindacato al tempo della crisi» di Massimo Franchi per Ediesse. Free lance, precari, «autonomi» di seconda e terza generazione. La presa di contatto per le costellazioni ignorate dei senza diritti – di Roberto Ciccarelli

 

Nella coa­li­zione sociale Lan­dini vede l’occasione di rifor­mare la Cgil. Senza que­sta riforma, aggiunge il segre­ta­rio della Fiom, il sin­da­cato rischia di scom­pa­rire. Per capire i con­te­nuti della bat­ta­glia politico-culturale in corso è oppor­tuno leg­gere il libro di Mas­simo Fran­chi pub­bli­cato in maniera tem­pe­stiva da Ediesse: Il sin­da­cato al tempo della crisi (pp.176, euro 12). In un libro che con­tiene inter­vi­ste ai segre­tari dei con­fe­de­rali, a socio­logi come Giu­seppe De Rita o Aldo Bonomi, a pre­cari, free­lance e par­tite Iva, Fran­chi deli­nea il campo interno ai sin­da­cati, e in par­ti­co­lare alla Cgil, dov’è emersa la neces­sità di un’autoriforma. La dedica del libro a Davide Imola, uno dei più sen­si­bili e attrez­zati sin­da­ca­li­sti della sua gene­ra­zione, oggi pur­troppo scom­parso, è indi­ca­tiva. Come Imola mostrò nella sua azione, per avere un futuro il sin­da­cato deve impa­rare a rap­pre­sen­tare il «quinto stato»: il lavoro auto­nomo, pre­ca­rio e povero, insieme a chi vive nella zona gri­gia tra le atti­vità auto­nome ed ete­ro­di­rette, ma non è rico­no­sci­bile nel peri­me­tro del lavoro subordinato.

 

«Il numero di que­sti lavo­ra­tori aumenta costan­te­mente e sosti­tuirà buona parte dei lavo­ra­tori dipen­denti – spiega Fran­chi – Que­ste per­sone hanno un’incredibile neces­sità di essere tute­lati e, seb­bene molti non lo rico­no­scano, di essere rap­pre­sen­tati». In que­sta cor­nice par­lare di «coa­li­zione sociale» non signi­fica evo­care un «nuovo sog­getto poli­tico di sini­stra», come sosten­gono la Cgil e molte delle sue fede­ra­zioni con­tro Lan­dini e la Fiom. Al con­tra­rio, signi­fica rico­no­scere l’attuale inca­pa­cità del sin­da­cato a rap­pre­sen­tare il vasto con­ti­nente del quinto stato ma, allo stesso tempo, lan­ciarlo in una nuova bat­ta­glia poli­tica. «Con­si­de­rare le tutele dei lavo­ra­tori auto­nomi e pre­cari come diritti di cit­ta­di­nanza – aggiunge Fran­chi – E la con­trat­ta­zione sin­da­cale come stru­mento per ottenerla».

 

Que­sta defi­ni­zione di «con­trat­ta­zione sin­da­cale» come stru­mento per esten­dere i «diritti di cit­ta­di­nanza» Fran­chi la intui­sce a par­tire dalle espe­rienze di com­mu­nity e labour orga­ni­zing negli Stati Uniti o di coa­li­zione sociale in India rac­con­tati da Valery Alzaga, Kim Moody o Ari­jun Appa­du­rai. Paesi dove i sin­da­cati tra­di­zio­nali si sono coa­liz­zati – e certo non in maniera né lineare né paci­fica, con­si­de­rata la loro natura «mana­ge­riale» o cor­po­ra­tiva – con le espe­rienze di autor­ga­niz­za­zione per il sala­rio minimo, le leghe di resi­stenza, le Ong in lotta con­tro la povertà, i movi­menti anti-razzisti e le orga­niz­za­zioni ter­ri­to­riali. «Biso­gna aggior­nare la defi­ni­zione di alleanza dei pro­dut­tori di Tren­tin – aggiunge -. Serve un’alleanza dei deboli, degli sfrut­tati, dei subor­di­nati di chi pur essendo for­mal­mente auto­nomo dipende da imprese che impon­gono dimi­nu­zione di diritti e tagli dei compensi».

 

Allar­gare la rap­pre­sen­tanza signi­fica ampliare la base sociale e pro­fes­sio­nale del sin­da­cato. Un’esigenza fon­da­men­tale dopo la rot­tura del col­la­te­ra­li­smo tra Cgil e Pd, men­tre l’affermazione di Renzi ha reso il sin­da­cato un corpo sociale senza refe­rente poli­tico. Fare coa­li­zione è un modo di costruire una base poli­tica diversa che richiama le ori­gini inclu­sive del movi­mento ope­raio, quando l’azione sin­da­cale era una pra­tica di cit­ta­di­nanza, men­tre la con­trat­ta­zione era il risul­tato di una nego­zia­zione poli­tica sulla base di una lotta di classe. «Oggi è neces­sa­ria una lotta di resi­stenza che riporti il sin­da­cato alle sue radici per farlo ripar­tire da nuove basi» con­clude Franchi.

 

Così intesa, si capi­sce per­ché la «coa­li­zione» allarmi gli attori della spo­li­ti­ciz­za­zione ita­liana: il Pd, la sua «sini­stra» chiac­chie­rona, la mag­gio­ranza della Cgil, oltre che i Cin­que Stelle. All’unisono hanno ini­ziato a can­no­neg­giare Lan­dini per­ché vedono in que­sta pra­tica di cit­ta­di­nanza uno degli stru­menti per mobi­li­tare la società in vista dell’unificazione dei lavori e della con­qui­sta dei diritti fon­da­men­tali, tra cui c’è quello alla coa­li­zione. Se que­sto dibat­tito resterà con­fi­nato nelle stanze della Cgil, sarà una scon­fitta per tutti, e non solo di Lan­dini. Qua­lora rima­nesse ostag­gio degli zom­bie della poli­tica isti­tu­zio­nale sarebbe una tra­ge­dia. Que­sta è l’ultima pos­si­bi­lità per tor­nare a fare poli­tica. Dopo c’è solo la restau­ra­zione dello sta­tus quo, aspi­ra­zione insi­gni­fi­cante per chi ieri come oggi non ha più nulla.

 

Roberto Ciccarelli – il manifesto 20.3.2015