La conversione ecologica necessaria – Il manifesto 8 febbraio 2012
La conversione ecologica necessaria
Tonino Perna
Di fronte all’ondata di gelo che ha investito l’Europa c’è chi si permette di irridere gli ambientalisti con la battuta «questo è il riscaldamento globale». Purtroppo per la gran parte dell’opinione pubblica il riscaldamento globale significa solo che la temperatura media della terra e dei mari aumenta. Che farà sempre più caldo e le piccole isole scompariranno per l’innalzamento degli oceani dovuto allo scioglimento dei ghiacciai. Tutto vero, ma insufficiente per capire dove stiamo andando. Il primo effetto dello squilibrio ambientale, indotto dalla crescita iperbolica di anidride carbonica immessa nell’atmosfera, lo si legge attraverso la crescita della frequenza degli «eventi estremi».
Uragani, piogge abbondanti, ondate di siccità o eccezionali precipitazioni nevose ci sono sempre state, ma è la loro frequenza che è cambiata. Non solo, è stato registrato negli ultimi trent’anni un aumento dell’intensità di questi fenomeni (dalle piogge intense alla forza degli uragani, alle precipitazioni nevose). Inoltre, va notato che stanno saltando i limiti verso l’alto e verso il basso delle temperature per cui avremo eccessi di freddo e caldo in diverse aree del pianeta. Anche in questi giorni, mentre in Europa si muore di freddo, in Alaska si registra un insolito aumento della temperatura, in Australia, ad Adelaide, il termometro ha superato i 41 gradi e la penisola arabica è attraversata da violente tempeste di sabbia rovente.
Naturalmente venti centimetri di neve a Roma non costituiscono un “evento estremo” e solo un sindaco inetto e in malafede può prendersela con l’eccezionalità del fenomeno. Ma se un intero paese va in tilt in condizioni normali che cosa succede quando deve affrontare seriamente gli “eventi estremi”? L’abbiamo visto lo scorso autunno in Liguria, quando in poche ore sono caduti 500 mm di pioggia, provocando disastri umani e materiali; l’abbiamo visto a Giampilieri il primo ottobre del 2009, quando 375 mm di poggia in sei ore hanno provocato 37 vittime e l’evacuazione di un intero paese (dove ancora non si è fatto niente per mettere le popolazioni in sicurezza). In un paese in cui non si fa più la manutenzione ordinaria del territorio, figuriamoci quella straordinaria che è oggi necessaria per prevenire i danni degli “eventi estremi”. Altro che Tav, grandi opere e liberalizzazioni. I danni al territorio ed ai suoi abitanti causati da incendi, alluvioni, mareggiate, sono costati – secondo una stima in difetto – 30 miliardi di euro nell’ultimo decennio.
Per sopravvivere agli “eventi estremi” dobbiamo cambiare radicalmente visione del mondo e del nostro futuro. Dobbiamo investire nella manutenzione del territorio, nella protezione del nostro patrimonio (naturale, abitativo, storico), nella “prevenzione” delle catastrofi annunciate. Oggi gli “eventi estremi” meteorologici sono prevedibili con buona approssimazione 48 ore prima che si registrino. È necessario approntare un sistema di allarme e messa in sicurezza delle popolazioni che superi il modello di funzionamento dell’attuale protezione “incivile”, che stabilisca una scala di priorità e di responsabilità, individuando il soggetto pubblico che funge da responsabile di ultima istanza.
Infine, dobbiamo porci seriamente la questione della sovranità energetica ed alimentare, una questione politica di prima grandezza finora sottovalutata. Fino ad oggi potevamo pensare che bastava avere il denaro per procurarsi le risorse energetiche e quelle alimentari. Nel futuro non sarà più così. La Russia che taglia le forniture di gas, per assicurarle ai suoi abitanti, non sarà più un fatto eccezionale. Così come paesi come l’Argentina, l’India, il Vietnam, che in questi ultimi anni di speculazioni finanziarie hanno bloccato l’export di beni alimentari per assicurarsi l’autosufficienza. Ciò significa che dobbiamo ridurre la nostra dipendenza energetica ed alimentare, e che la questione del “risparmio” e della conversione ecologica è diventata urgente per rispondere alle sfide degli “eventi estremi”.
Il manifesto – 8 febbraio 2012